martedì 15 settembre 2015

alcune proposte per la modifica delal Legge Regionale lombarda sul governo del territorio (L.R.12/2005)



Voglio riportare alcune proposte molto puntuali di modifica della vigente Legge Regionale n.12/2005 elaborate durante a partire da riflessioni mie o condivise con amici, piuttosto che dalla reale e quotidiana applicazione della stessa Legge.

Per meglio comprendere il senso delle proposte che seguono ritengo possa essere utile riportare alcune mie radicate convinzioni sul tema “governo del territorio”:

  1.  I comuni hanno smesso le funzioni pianificatorie, se con pianificazione si intende il continuo processo di elaborazione e attuazione della proposta di trasformazione dell’uso del suolo, ritagliandosi ruoli limitati alla verifica di conformità normativa delle istanze promosse dai privati; 
  2.  per contro, il mercato, essendo condizionato da prevalenti obiettivi di efficienza economica (ancorché indirizzato dallo strumento della “norma di piano”), non può autonomamente garantire gli elevati contenuti pubblici oggi necessari a garantire la competitività di un sistema urbano; 
  3.  quindi, se si vuole tornare a produrre suolo di qualità e così attrarre operatori, maggiore e più propositivo deve essere il contributo giocato dell’attore pubblico nell’elaborazione delle proposte di intervento;
  4. se si assume questo nuovo ruolo per gli enti locali, ne consegue che questi dovranno dotarsi di strutture tecniche competenti e capaci; a tali strutture la componente eletta dovrà però affidare l’implementazione di obiettivi di sviluppo in linea con scenari sovra locali, formalizzandoli in strumenti urbanistici dalla forma adeguata;
  5. il piano urbanistico, anche nella sua forma più recente, rimane uno strumento dirigistico e prevalentemente quantitativo, mentre dovrebbe rafforzare la sua componente operativa (per la parte pubblica), e qualitativa (per la parte di governo delle dinamiche diffuse), garantendo più spazi alla valutazione, nel merito ed in funzione a scenari condivisi, delle proposte insediative; 
  6. in Regione Lombardia difettiamo di un sistema di governance equilibrato ed efficiente, e troppo squilibrato in favore del livello comunale.

Volendo essere più operativo


In merito al Documento di piano

a) La legge “12”  dovrebbe condizionare in modo più esplicito la composizione del set di obiettivi da riportare nei documenti di piano, prevedendo 3 gruppi di obiettivi:
  • Il primo: obiettivi di interesse generale e strutturale – validi anche fra 50 anni – prescritti direttamente per legge (già ne abbiamo: consumo di suolo, rigenerazione urbana, ecc. – eventualmente sarebbe utile approfondire il tema); 
  • Il secondo: gli obiettivi sanciti nei documenti strategici degli enti sovra locali; 
  • Il terzo: gli obiettivi di rilevanza locale definiti dai singoli enti;
ogni singolo documento di piano dovrà documentare il recepimento e l’implementazione degli obiettivi generali (il primo gruppo) e sovra ordinati (il secondo); le conseguenze nella ricomposizione della governance sovra locale sono ovvie;

b) Introdurre in modo esplicito che il comune dovrà implementare degli obiettivi previsti nel Documento di Piano anche mediante una struttura tecnica dedicata (sulla falsa riga di certe agenzie di sviluppo urbano presenti nelle amministrazioni cittadine nord europee). Questa struttura - l’Ufficio di Piano - potrà essere prevista anche a scala d’ambito, e avrà anche il compito di ricercare sul mercato eventuali operatori interessati alle proposte contenute le piano.
Sembra una banalità dire che il Comune deve impegnarsi ad attuare quello che approva, ma sappiamo che i piani rimangono nei cassetti: si deve spingere affinché le strutture tecniche si impegnino e trasformino proposte in progetti reali, senza pensare al piano come un intoccabile corpus normativo da applicare in modo pedissequo. Su questo punto ci giochiamo l’efficienza del sistema di governo del territorio. 

c) introdurre un facoltativo Documento di piano a scala sovra locale in sostituzione di quello comunale; con questo passaggio mi riferisco soprattutto ai comuni minori od a tessuti urbani particolarmente simili ed interconnessi - penso sia ormai un dato acquisito che la componetene strutturale ed invariante del territorio non possa essere definita alla scala locale o, peggio, iper locale;

d) prevedere per legge nuove forme di contatto, formale e trasparente, con le proprietà fondiarie in sede di individuazione delle aree di trasformazione (anche in contesti urbani), così da verificare l’effettivo interesse degli operatori prima di approvare il piano, facilitando così l’implementazione degli obiettivi del piano stesso;


In merito al piano delle Regole

a) Il piano è monitorato nella sua attuazione, in termini di efficacia ed efficienza, dall’Ufficio di piano che ne propone aggiustamenti e rettifiche (soprattutto normative, con particolare attenzione per le inadeguatezze dimostrate nell’incentivare l’attività economica);

b) Regione Lombardia si deve fare carico di stabilire un’uniformità minima dei regolamenti vigenti (parte della farraginosità nel sistema di governo del territorio è determinata dalla moltiplicazione delle fonti normative, e tante sono le fonti e le interpretazioni dei singoli uffici tecnici comunali che i professionisti hanno smesso di studiare le norme prima di predisporre gli elaborati progettuali con immaginabili conseguenze in termini di costi e ritardi); si propone di approvare a livello regionale le definizioni degli indicatori plano volumetrici base, vietando l’introduzione di ulteriori parametri di controllo tipologico; per governare la forma edilizia introdurrei, ove necessaria e fatti salvi distanze e rapporti di permeabilità, la sola indicazione della tipologia da utilizzare (edificio a cortina, villetta isolata, a schiera, edificio a torre, ecc..);


In merito al Piano dei Servizi

Assunto che è già stato un gran risultato aver ottenuto revedere all’interno del Piano dei Servizi il progetto dei Margini urbani finalizzato alla definizione della forma urbana oltre che al contenimento del consumo di suolo; tali interventi potranno essere inseriti nel comma 3bis dell’art. 9 della L.R. 12/05 dopo le parole “…e ripristino di canali e rogge”: “; sono altresì ammissibili interventi di definizione del margine urbano (cinture verdi), finalizzati al contenimento del consumo di suolo oltre che alla valorizzazione fruitiva, ecologica e paesistica delle fasce periurbane, da ottenersi attraverso piantumazioni, opere di urbanizzazione primaria, verde attrezzato ed orti urbani. Tali interventi sono finanziabili anche con i maggiori oneri di cui all’art. 43 comma 2 bis.”;


In merito ai Piani Attuativi

Il piano delle regole deve prevedere i casi in cui la formazione di un piano attuativo in territorio consolidato non costituisca variante al PGT (il caso in questione potrebbe proporsi, ad esempio, se l’operatore dovesse presentare un progetto con funzioni ammesse dalle norme d’ambito, con carico volumetrico assimilabile al precedente, o di poco maggiore ma sempre entro parametri prefissati, ed abbia ottenuto, per i contenuti pubblici, un parere di compatibilità da parte dell’Ufficio di Piano). Questa proposta ha un doppio obiettivo:
  1. non definire ex ante, in ambito urbano consolidato, il perimetro di un intervento di ristrutturazione urbanistica, lasciando agli operatori massima libertà nella formazione dei comparti così da garantire ampie possibilità di attuazione;
  2.  allungare la vita utile delle discipline d’ambito in quanto, permettendo al loro interno la formazione di piani attutivi, posso adattarsi alle dinamiche del territorio, fatte salve le valutazioni di merito offerte da decisore politico e tecnico.

lunedì 14 settembre 2015

Consumo di suolo e margine urbano, alcune proposte




Quanto segue è una riflessione ed una proposta elaborata in occasione dell'approvazione della Legge di Regione Lombardia sul consumo di suolo stesa con il concorso dell’amico Dott. Pian. Lorenzo Coppa, che ha collaborato e fornito materiali e spunti progettuali. Il presupposto di tutta la riflessione risiede nell'assunto che il governo (più del mero contenimento) del consumo di suolo passa da due strumenti tecnico/progettuali: il dimenisonamento del piano (tanto disapplicato nella realtà quotidiana della nostra disciplina) ed il disegno (fisico) del margine urbano.

Il dimensionamento del Piano – anche ai fini della definizione della domanda endogena

Dopo decenni di piani dimensionati in funzione delle istanze delle proprietà fondiarie senza che tali istanze avessero un pieno riscontro nelle necessità del territorio o che le amministrazioni locali avessero sia la competenza che l’interesse politico a porre un freno alla crescita delle volumetrie reali o virtuali; ci troviamo ora di fronte ad un territorio urbanizzato od urbanizzabile in percentuali altissime, situazione alla quale l.r. 12/2005, è necessario affermare, ha contribuito in modo rilevante.
Un contributo alle problematiche sommariamente sopra esposte è affermare il concetto che il consumo del suolo dovrà essere limitato ai solo bisogni documentati e renderlo cogente introducendo nella L.R. 12/2005 l’obbligo per il Documento di Piano di dimensionare, con riscontro analitico, le necessità del territorio comunale; e di utilizzare tali necessità, che potremmo definire domanda endogena comunale, quale di riferimento per la quantificazione dei futuri insediamenti residenziali o produttivi (la c.d. domanda endogena).

Tale domanda, calcolata in base alla domanda documentata, sarà composta, indicativamente, dalle seguenti voci:

  • il fabbisogno abitativo: calcolato confrontando le dinamiche demografiche in atto (ad esempio: proiezioni del numero di abitanti e di famiglie previste, ecc.) con il numero di alloggi disponibili o volumetrie ancora non attuate, oltre che considerando il disagio abitativo da reddito; quest’ultimo sarà poi di rifermento per le politiche per la casa di competenza comunale (social housing, perimetrazione di ambiti ERP, politiche a sostegno dell’affitto, ecc.);

  • le necessità del settore economico: da quantificare considerando sia le disponibilità ancora presenti nel piano vigente che lo stato delle aree dismesse o di quelle sotto utilizzate / inutilizzate, ma anche tenendo conto delle istanze presentate dalle associazioni di categoria piuttosto che da altro soggetto durante le fasi di formazione del piano.

Come si accennava, il dimensionamento del Piano, adeguatamente giustificato, dovrà essere riportato nel Documento di Piano. Tale indicazione è però già recepita dal PdL 140, ma non in modo sufficientemente puntuale; per questa ragione si propone il seguente nuovo testo per la lett. B) del comma 2 dell’art. 8 della L.R. 12/2005:
“…….determina, in base a motivate necessità, gli obiettivi quantitativi di sviluppo complessivo del PGT relativamente ai diversi sistemi funzionali; in particolare l’effettivo bisogno residenziale dovrà dimensionato in funzione delle dinamiche demografiche in atto……” .

Governo del margine urbano – anche ai fini del contenimento del consumo di suolo permeabile

Una prima fondamentale linea strategica per il governo territoriale delle frange periurbane consiste nel contenimento delle forze dispersive e nel corretto indirizzo delle forze di addensamento. Bisogna rimarcare la complementarietà delle due linee d’azione. Infatti, un buon disegno della città densa è la condizione per generare un paesaggio urbano attrattivo, in grado di attenuare la spinta alla dispersione. Solo in presenza di un paesaggio urbano di qualità si riesce a contrastare efficacemente le forze dispersive, per contenere le quali occorre comunque imporre un vincolo di tutela del paesaggio agricolo, progettando un “bordo”.
Il concetto della progettazione del margine urbano sposta il tema del “consumo di suolo” da un divieto a fare qualcosa, cioè da una norma che impone un divieto, ad un obbligo a disegnare una città migliore che non consuma suolo.
In sintesi, i piani strutturali di frangia periurbana dovrebbero:
a. contenere i processi dispersivi tramite l’istituzione e la progettazione della cintura verde e della rete ecologica della frangia periurbana;
b. individuare gli interventi urbanistici necessari per migliorare il paesaggio urbano.
La linea strategica indicata al punto (a), ha lo scopo di evitare che continuino a prodursi processi dispersivi, che tendono ad estendere il territorio occupato dalla frangia. Ciò richiede una perimetrazione stretta della medesima, che fissi un limite simile a quello delle Green Belt inglesi. Essa ha anche l’obiettivo di migliorare, tramite la progettazione della rete ecologica, la qualità del sistema del verde della frangia. A tale scopo occorre fare in modo che il complesso degli spazi verdi interni alla frangia dia luogo ad un sistema organico, ben connesso con gli spazi verdi dell’aperta campagna, specialmente attraverso la valorizzazione della rete idrografica minore e dei varchi verdi tra l’abitato.La linea strategica indicata al punto (b), ha lo scopo di orientare le nuove edificazioni, ivi comprese le ristrutturazioni urbanistiche, verso un assetto più funzionale della città compatta, razionalizzando lo spazio residenziale, gli insediamenti produttivi industriali, l’ubicazione del grande commercio al dettaglio e delle attività legate al settore dei servizi e operando, là dove si riscontrino situazioni di criticità ambientale, interventi di bonifica tramite rilocalizzazioni e mitigazioni.

Bibliografia: “Frangia urbana” Osservatorio Città Sostenibili – Dipartimento Interateneo Territorio – Politecnico e Università di Torino
ecco uno schema per raprpesentare le problematiche di un territorio in modo sintetico, anche attreverso connessione e relazioni fra le criticità del territorio stesso

domenica 7 settembre 2014

Proposte di modifica alla bozza del ddl “Principi in materia di politiche pubbliche territoriali e trasformazione urbana"




Premesso che si condividono le osservazioni mosse dall’Istituto Nazionale di Urbanistica alla bozza di disegno di legge promossa dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, si vuole contribuire alla discussione con questo piccolo testo. Qui di seguito si illustrano due brevi gruppi di note: il primo contiene proposte di ordine generale, sistemico, il secondo integrazioni alla prevista norma regionale di disciplina degli ambiti territoriali unitari.

Note al sistema di governo del territorio tratteggiato dal D.L. in parola:

1-Un nuovo ruolo per l’ente locale: la legge dovrà esplicitare che l’ente locale, tramite uffici preposti e qualificati (il così detto ufficio di piano), spetta il dovere di dare seguito agli obiettivi di valenza strategica contenuti nei piani regolatori che ha approvato, operando in modo propositivo e come vera e propria agenzia di sviluppo urbano. L’attuale crisi economica e l’alto livello di competizione territoriale impongo ai governi locali atteggiamenti proattivi e capacità nell’intercettare investimenti privati e valorizzare ogni risorsa. La proposta illustrata è assimilabile alle esperienze americane ed inglesi dove gli enti locali sono dotati di commissioni / agenzie (planning commissions) preposte allo sviluppo del territorio ed alla gestione e promozione di interventi e progetti di rilevanza urbana. Strutture pubbliche, nominate dal decisore politico, con competenza tecnica e non sono burocratica, le quali esprimono proposte e pareri di merito e non di semplice “conformità”.



2-Piani attuativi a perimetri negoziabili: Assunta la necessità di scorporare la pianificazione su due livelli: strutturale e operativo, rimandando il primo alla scala sovra locale, ed il secondo a quella comunale, si propone di innovare il comma 3 dell’art 16 specificando che ai Comuni spetta sì il compito di individuare le aree assoggettabili allo strumento dei piani di rinnovo urbano, ma che il perimetro degli strumenti attuativi sarà determinato in funzione di accordi, anche di natura negoziale, assunti con i soggetti promotori. Questa soluzione permetterà una più facile attuabilità delle proposte di recupero. La parcellizzazione della proprietà fondiaria in ambito urbano, specialmente in contesti residenziali, è infatti un fortissimo limite al recupero dei tessuti degradati, per tale ragione deve essere considerata sin dalle fasi iniziali della definizione del piano attuativo.



3-Semplificare realmente: introdurre regolamenti (definizioni urbanistiche, distanze, norme igienico-sanitarie e di sostenibilità energetica) standardizzati e omogenei per grandi comparti omogenei, approvati per ambiti regionali o provinciali, se non statali: ridurre il numero eccessivo di norme complesse e di fonti di legiferazione è la via più efficace verso la semplificazione dei processi decisionali nel governo del territorio.



La previsione di una legge regionale che disciplini le caratteristiche puntuali dei singoli ambiti è un punto qualificante della proposta in esame ed ha tre rilevantissimi vantaggi. Il primo: maggior trasparenza dei documenti tecnici comunali a favore degli investitori privati, con ovvie ricadute in termini di certezza dell’investimento e dei tempi di realizzazione (le nostre norme devono essere aperte e comprensibili anche da investitori stranieri, ne vade la competitività dell’industria edilizia e non solo). Il secondo: maggior controllo a livello regionale nella promozione di politiche edilizie specifiche senza la necessità di individuare ex-lege procedure derogative alle norme urbanistiche definite a livello comunale. Ed il terzo: se la norma verrà introdotta non ridimensionata sarà vera semplificazione.

Nel dettaglio si propone inserire nei contenuti delle leggi regionali indicati nel comma 5 quanto segue:

1-La norma dovrà essere recepita a livello comunale senza modifiche, se non per i valori plano-volumetrici (esempio riguardo alle altezze ammissibili, indici di fabbricabilità) oltre che per eventuali regole d’ornato.



2-Per essere adatta allo scopo di cui al punto precedente, dovrà essere la più completa possibile, prevedendo, ad esempio, la disciplina dei cambi d’uso.



3-Sempre col fine di semplificare le norme della produzione edilizia, si propone di ridurre al minimo i parametri di controllo plano-volumetrico dell’edificato. Ma quali indicatori usare, però? Una prima soluzione sarebbe sostituire gli indici di fabbricabilità basati su un rapporto geometrico tra superficie fondiaria e superficie fabbricabile con il numero di unità immobiliari realizzabili per lotto minimo. Le altezze massime ammissibili per ambito, la superficie drenate, le distanze da confini, strada e pareti finestrate, oltre che la necessità di reperire gli standard o i parcheggi privati, limiterebbero la superficie realizzabile senza l’imposizione di un controllo al metro quadro del contenitore edilizio (controllo per altro inutile ai fini dell’attuazione degli obiettivi di piano). Le norme regionali indicheranno il massimo numero di unità o le tipologie edilizie ammissibili per gli ambiti territoriali unitari (es.: villa unifamiliare, trifamiliare o edificio multi-immobiliare/corte per gli ambiti residenziali).  Qualora per alcune destinazioni il numero di unità immobiliari non fosse un indicatore adeguato, nella disciplina d’ambito sarà sufficiente indicare il rapporto di permeabilità ed in numero di piani/altezza massima, associandovi la tipologia edilizia ammessa: superficie a parcheggio e distanze completeranno il disegno ammissibile lasciano ampie libertà nella definizione dell’immobile. A riguardo si invita a valutare le Zoning ordinance vigenti negli Stati uniti d’America. Questa scelta, oltre che governare con maggior efficacia il carico urbanistico, fornirebbe disponibilità micro-volumetriche a singoli proprietari a pari carico urbanistico, liberando ampie risorse per l’industria edilizia: non si ha la misura di quanti interventi di edilizia “minuta” vengano bloccati per esaurimento della volumetria.

Auspico, infine, che quanto letto circa le intenzioni di approvare in un secondo provvedimento il Regolamento Edilizio Unico stralciato dalla stesura finale dello Sbolcca-Italia avranno seguito, essendo questo uno strumento importante solo nella misura in cui riuscirà a raccogliere ed uniformare la disciplina edilizia in un solo codice valido su tutto il territorio nazionale. Il termine codice non lo si usa a caso, esso dovrà infatti contenere in modo cogente le principali definizioni, le procedure per il rilascio dei titoli abilitativi, i requisiti di sostenibilità energetica e le principali regole igienico sanitarie. I comuni provvederanno ad integrare il codice con eventuali parti di propria competenza (ad esempio: regole d’ornato, funzionamento commissioni, ecc.). Il codice tecnico dell’edilizia dovrà essere emanazione diretta del T.U. dell’Edilizia se non suo totale sostituto.

A riguardo colgo l’occasione per inviate a riordinare il vigente testo unico verso forme di controllo edilizio meno complesse ed onerose anche per il privato. Non è difficile intuire che più carta si produce, più tempo e risorse devono impiegare i comuni nel vagliarla, stando tra l’altro lontani dal territorio, e maggiori costi vivi devono sostenere i privati Un buon esempio da seguire è la normativa svizzera: due sole procedure ed una sola delle quali sottoposta ad “assenso”. In quest’ultima è anche prevista la partecipazione di terzi i quali potranno intervenire per difendere i loro interessi, ma con tempi certi e su questioni limitate.

dell'ufficio di piano



Se nella seconda metà del 20° secolo era relativamente facile intercettare la domanda degli operatori attraverso i vecchi P.R.G. e chi era preposto al governo del territorio ha potuto ritagliarsi un ruolo di “controllore” di istanze private, oggi, date l’attuale congiuntura economica e l’alta competizione territoriale, la situazione è drammaticamente cambiata. Occorre infatti un operatore pubblico che abbia le competenze, e la forza, per attuare realmente gli obiettivi di sviluppo contenuti nei piani regolatori e promuovere efficaci politiche territoriali ed a supporto del tessuto economico.

L’ufficio di piano (che assorbirebbe nei comuni medio piccolo il servizio urbanistica, sit e lavori pubblici, ma non edilizia privata), a cui capo viene posto l’assessore competente, sarà composto dai funzionari dei servizi tecnici comunali più compenti e completato dai professionisti che già compongo la commissione paesaggio, più eventuali altre professionalità esterne acquisite come consulenti “stabili”.

l’Ufficio avrà i seguenti compiti:
-      coordinare i grandi i progetti di trasformazione urbana, definendone i profili di sostenibilità urbanistica in funzione della componente strutturale e degli obiettivi contenuti negli strumenti strategici vigenti;
-       attuare gli obiettivi del Documento di Piano (in Regione Lombardia), anche mediante la ricerca di operatori privati (una sorta di agenzia di sviluppo);
-          monitorare l’efficienza del Piano delle Regole e promuoverne aggiustamenti;
-          coordinare attuazione del Piano dei Servizi;
-          sviluppare analisi territoriali  - anche con finalità V.A.S. - e varianti ai piani vigenti, anche con il supporto delle cartografie numeriche e dei relativi dati;
-          esprimere pareri di conformità urbanistica specifici anche in forma preventiva (ad esempio su progetti edilizi complessi);
-          assorbire i compiti della commissione paesaggio (limitando il voto ai professionisti).

Sulle proposte private valutate positivamente dall’Ufficio di Piano o promosse spontaneamente da quest’ultimo e qualora ne ricorrano le necessità, il consiglio comunale procederà con le normali procedure di adozione ed approvazione.

I vantaggi di tale struttura dipenderanno dall’autorità, dall’autonomia e dalla competenza della stessa, e consisteranno nel fornire un livello decisionale certo e ben orientato verso obiettivi di sviluppo a supporto sia degli operatori privati che della parte politica. La presenza di una struttura competente potrà, infine, snellire le norme di dettaglio dei piani “regolatori”, i quali potranno limitarsi ad indicare le linee di sviluppo del territorio e della città pubblica (la parte “operativa”) e le relative componenti strutturali, oltre alle sole indicazioni plano volumetriche funzionali al dimensionamento del piano (oltre a poco altro: gli azzonamenti funzionali, ad esempio), demandando alla valutazione dell’Ufficio la compatibilità urbanistica degli interventi. Infatti le norme di piano, nella forma attuale, hanno il difficile compito di garantire ex ante la sostenibilità delle trasformazioni urbane, ma ciò condiziona profondamente la struttura delle stesse norme, rendendole assai complesse e poco efficaci: lo strumento regolamentale, per quanto ricercato e dettagliato (caratteristica che, tra l’altro, leggi e regolamenti non dovrebbero assolutamente avere) non potrà mai governare adeguatamente tutte le trasformazioni di un territorio, né sostituire una valutazione di merito compiuta da persone competenti.

La proposta illustrata è assimilabile alle esperienze americane ed inglesi i cui enti con competenze territoriali sono dotati di commissioni / agenzie (planning commissions) preposte allo sviluppo del territorio ed alla gestione tecnica degli interventi di rilevanza urbanistica (compatibilità infrastrutturale, dotazione di standard, tutela della qualità del paesaggio urbano / urban design, ecc.), oltre che ad intercettare operatori interessati. Strutture pubbliche, nominate dal decisore politico, con competenza tecnica e non sono burocratica, le quali esprimono pareri di merito e rimandano all’organo competente (i consigli cittadini) l’approvazione finale degli atti necessari all’implementazione della proposta progettuale. La legalità dell’atto non è qui unicamente determinata dal rispetto di un set di disposti normativi, ma anche dalla bontà progettuale certificata delle strutture di alto profilo tecnico dell’amministrazione cittadina.